Uno stimolo ad andare più a fondo nella pratica dell’amore mi è stata
fornita quando è stato chiesto dai nostri focolarini guida Paolo e
Tiziana di “buttarci” in una nuova avventura: ognuno di noi, da solo o
in coppia, avrebbe dovuto essere un “facilitatore” della Parola di Vita,
presentando al gruppo una pagina di Chiara Lubich. Prima o poi dovevamo
provarci tutti e allora mi sono detta. cominciano.
Mi è stato fornito il brano e il video dell’incontro di Chiara con i
giovani per la IV Giornata Mondiale della Gioventù nel 1989 a Santiago
de Compostela.
Gesù: “Io sono la Via” (Giov.14,6)
Quale Via ha scelto Gesù? Chiara ci ricorda che il cammino che ci viene
indicato è quello dell’amore. Un amore che irradia da Dio facendosi
corpo in Cristo per propagarsi tra gli uomini, per gli uomini e con gli
uomini si fa a vivere l’amore che Dio ci ha donato attraverso il
figlio? Amando tutti e facendosi uno con ogni fratello e sorella che
incontriamo sul nostro cammino. Allora cammineremo insieme :io, mio
fratello/o e Gesù.
Non potevo raccontare ai miei fratelli focolarini solo ciò che avevo
letto e compreso del testo di Chiara. E la pratica di questo amore? Era
arrivato il momento di mettere in pratica un’azione che da tempo
continuavo a rimandare: dividere il pane e la tavola con una persona che
vive in quasi totale solitudine. Questa persona io la conosco, ha per
anni dispensato il suo aiuto e le sue cure ai miei genitori da amica
paziente e affettuosa. Ora problemi di salute e perdita degli affetti
più cari hanno prostrato il suo fisico e il suo spirito. Farle visita,
telefonarle non poteva bastare a questo richiamo di amore che richiede
quattro passi essenziali: amare l’altro come sé stessi, vedere Gesù in
tutti, amare senza distinzioni, amare per primi.
Amare l’altro come sé stessi: cosa avrei voluto per me , quale conforto
e carezza avrei desiderato sentendomi sola e abbandonata?
Vedere Gesù in tutti: chi era quella sorella che soffriva mancanza di
affetti? Era Gesù solo e abbandonato?
Amare senza distinzioni: quanta differenza tra me e lei ma questo
bastava a non sentirla una sorella in Cristo?
Amare per primi: chi doveva fare il primo passo?
C’era una sola unica risposta: Farsi uno con lei, farsi uno con Gesù,
entrare nel suo corpo e nel suo spirito e dividere con lei il pane, la
tavola, il tempo e lo spazio perché una pillola di amore si irradiasse
nella nostra vita. Perché ho ricevuto molto più di quanto ho donato.
Ma il cammino è solo all’inizio.
Bianca maria (Terni)
Dopo un lungo periodo della mia vita, in cui per motivi familiari e di lavoro non avevo tempo per dedicarmi a fare qualcosa di concreto per gli altri, da settembre scorso ho avuto questa disponibilità. All’inizio, confesso che l’idea di impegnare le mie giornate mi pesava un po’; poi una domenica si leggeva la seconda lettera di San Giacomo che dice: “che cos’è la fede senza le opere?” Mi sono sentita personalmente interpellata e questa parola mi ha dato la spinta a rimettermi in gioco.
Mi sono messa disposizione della Caritas parrocchiale, nella quale, peraltro, avevo già collaborato anni fa e in particolare mi sono dedicata all’accoglienza dei poveri.
Nella mia parrocchia da alcuni anni, il parroco, prima della messa delle 9, offre una colazione ai fratelli senzatetto. Prima della pandemia entravano in chiesa, il parroco faceva una brevissima catechesi, anche se alcuni sono musulmani o senza convinzione religiosa e poi veniva offerta una piccola colazione, bevande e dolci offerti da bar e supermercati ed un contributo in denaro. Ora nei tempi del Covid possiamo dare solo cibi incartati e bevande in brick. Spesso hanno delle richieste di vestiario o di altro genere che si cerca di soddisfare.
Quindi la domenica mattina arrivo mezz’ora prima della Messa e con un’altra signora della parrocchia accogliamo i poveri.
Devo dire che mi sono imbattuta in una realtà molto difficile, molto cruda: non mi aspettavo che fosse così. All’inizio ero anche abbastanza spaventata perché sono persone imprevedibili, alcuni hanno problemi di natura psichica, spesso sono sotto l’azione di alcol o dipendenti da droghe. E come si può immaginare, sono anche malmessi e soprattutto sporchi. Quindi veramente è stato un superare me stessa e solo per l’amore al fratello, solo nel cercare di riconoscere in loro Gesù Abbandonato, che ho trovato il coraggio di avvicinarmi, di parlare con loro, di conoscerli per nome, per capire le loro necessità ed esigenze. Con il tempo, con i più assidui si è instaurato anche un rapporto se non proprio di amicizia quanto meno di vicinanza.
Poi, per un’altra circostanza particolare, ho avuto la possibilità di aiutarli anche in altro modo.
Un mio ex direttore di altre convinzioni che collabora con un’associazione che si occupa di senza fissa dimora a Livorno, quando ha saputo che questa associazione apriva la sede a Perugia, mi ha chiamato dicendomi che, conoscendomi, aveva pensato alla possibilità che potessi anche io collaborare.
L’ associazione si chiama Avvocati di Strada ed è stata fondata una ventina di anni fa da un avvocato di Bologna che si è accorto che questi fratelli senza fissa dimora sono praticamente invisibili per la società, per le istituzioni. Non hanno accesso neanche alle cure minime proprio perché non avendo residenza, non hanno documenti, non possono cercare lavoro: veramente invisibili. E quindi lui ha cominciato con alcuni volontari avvocati a prestare gratuitamente la sua professione.
L’esigenza più diffusa che hanno i senzatetto è di avere la cosiddetta residenza fittizia, cioè una residenza virtuale che però consente loro di avere i documenti, poter cercare un lavoro, o anche per avere il reddito di cittadinanza. La maggior parte di loro non sono stranieri, ci sono tanti italiani: persone che hanno perso il lavoro ed hanno dovuto lasciare l’alloggio; magari hanno avuto problemi familiari e sono stati cacciati di casa cancellando, anche a loro insaputa, la residenza.
Anche in questa realtà della Associazione, dove non essendo avvocato, collaboro facendo accoglienza ed ascolto, sono venuta in contatto con situazioni molto difficili; un pomeriggio, in attesa degli avvocati di turno, sono riuscita a parlare a lungo con un italo francese. Mi ha raccontato che da bambino ha avuto un rapporto difficilissimo con i genitori, che lo picchiavano e che spesso lo legavano al letto: solo grazie ai nonni, soprattutto alla nonna, è riuscito a sopravvivere anche psicologicamente a questa infanzia così drammatica.
Recentemente due di questi fratelli senzatetto, grazie alla pazienza ed alla tenacia di due giovani avvocatesse che hanno fatto il braccio di ferro con il comune, hanno ottenuto la residenza fittizia. E questo gli spalanca di nuovo le porte della realtà quotidiana per avere documenti e sussidi.
Una delle azioni che ci ripromettiamo di fare nel prossimo futuro è quella di chiedere alla Regione Umbria che venga emanata una legge regionale (come hanno già fatto altre regioni, ultima è stata la Puglia) che riconosca la residenza sanitaria, che permetterebbe loro di avere un medico di medicina generale.
La relazione con questi fratelli, anche se dura da poco tempo, ha cambiato il mio modo di vederli. Ora quando incontro un povero per strada, ai semafori o fuori dei supermercati, mi chiedo come siano le loro vite, quali difficoltà abbiano. Adesso li guardo veramente con un occhio diverso, per cui mi viene più naturale, quando gli do una moneta, alzare lo sguardo e salutare: ciao, buongiorno…. È difficile, tanto, perché qualche volta si ha la tentazione, dopo 3, 4, 5, volte in una giornata, di dire: ora basta ho già dato. Però a questo punto veramente non posso più farne a meno…
Alcune domeniche fa, dopo aver partecipato agli incontri per il Sinodo sia nel Movimento che in un gruppo parrocchiale, ho sentito che in qualche modo dovevo farne partecipe anche i fratelli senzatetto, perché uno degli scopi dei lavori sinodali è anche quello di ascoltare chi non è pienamente inserito nella Chiesa. E fra loro appunto ci sono anche alcuni musulmani e persone senza riferimenti religiosi.
Quindi una mattina, d’accordo con l’altra signora con cui li accogliamo, contando sul fatto che ormai si era stabilito un rapporto più aperto con loro, ho spiegato brevemente e con parole semplici che cosa fosse il Sinodo e perché Papa Francesco lo aveva voluto.
Ho chiesto loro se si sentissero ascoltati dalla Chiesa (e non solo) e che cosa avrebbero voluto migliorare. Ovviamente non tutti hanno capito e hanno risposto; un paio di loro ha detto che solo da noi (volontari Caritas) si sentivano accolti ed ascoltati, che sentivano il nostro affetto; fuori sentivano “il nulla” ….. e si auguravano che altri li facessero sentire persone esistenti. Mi rendo conto che bisognerebbe fare ancora di più per “camminare insieme”. Intanto abbiamo messo un piccolo seme confidando che alla “crescita ed alla fioritura” ci pensi Gesù e ci faccia capire come poter continuare.
Lorena Fabbretti – 2022
Leggendo in un numero di Città Nuova, che i detenuti di un carcere nel Sud Italia apprezzavano molto il giornale, ad una di noi è venuto in cuore il desiderio di offrire un abbonamento anche ai detenuti del carcere di Perugia. E così ha condiviso questo suo desiderio nella chat WhatsApp delle volontarie.
Tante hanno apprezzato e condiviso l’idea; un’altra volontaria si è offerta di aiutare a promuovere l’iniziativa all’interno delle comunità dell’Umbria. Inoltre, frequentando la Caritas diocesana, ha potuto contattare la responsabile del volontariato carcerario. Questa signora ha subito espresso la sua gratitudine dicendo che era una bellissima idea; anche perché in questi due anni di pandemia, i volontari che operano nel carcere, hanno dovuto sospendere i loro incontri personali e per un certo periodo anche i laboratori. Per cui far arrivare un brano di mondo esterno, tramite il giornale, sarebbe stato veramente utile.
La responsabile del volontariato, con l’aiuto della bibliotecaria, ha individuato i detenuti e le detenute che più degli altri amano leggere, avendoci suggerito di non fare un abbonamento generico al carcere maschile e femminile, ma proprio con nome e cognome del detenuto.
Nel frattempo, abbiamo lanciato l’iniziativa in tutte le comunità dell’Umbria, sia attraverso gli incontri Zoom che tramite le varie chat.
Alla scadenza del termine che ci eravamo dati, avevamo raccolto la somma per fare ben 10 abbonamenti! Ben oltre le più rosee aspettative!
La responsabile del volontariato carcerario è stata contentissima e ha ringraziato tante volte per “questo gesto di attenzione per gli ultimi che si sentono spesso emarginati e dimenticati”.
Abbiamo poi comunicato a tutti i nostri dell’Umbria, i 10 nomi di battesimo dei e delle carcerate abbonate, chiedendo di ricordarli nella preghiera, nella speranza un giorno di poterli conoscere personalmente.
Da parte nostra, felicissime di aver portato avanti una esperienza con Gesù tra noi, siamo certe che insieme alla rivista arriverà anche un po’ della luce dell’Ideale in un luogo in cui c’è davvero bisogno di speranza.
Con questo gesto, inoltre, abbiamo dato un piccolo contributo alla nostra rivista – che Chiara definiva la prima opera dell’Opera – in un periodo di grande crisi dell’editoria.
Simonetta Quintavalle – Lorena Fabbretti
In questo tempo di covid Il centro caritas non accetta più indumenti. Mettere vestiti in un sacco di plastica e gettarli nei contenitori della Croce Rossa ad Anna non piaceva proprio. Essendo una persona creativa ha pensato di appendere un mio giaccone in buono stato che non usavo più alla maniglia del garage che dà sulla strada. La mattina dopo non c’era più.
Felice di questo risultato ha preso una grande busta e vi ha messo un paio di scarpe n.43 (non le mettevo più da tempo ed erano conservate molto bene e di marca) insieme ad indumenti vari ,maglioncini camice ecc…
Dopo un giorno ha guardato nella busta e ha visto che le scarpe non c’erano più, il giorno successivo anche la busta era scomparsa. Ci piace pensare a Gesù che passa e prende quello di cui ha bisogno…
Anna e Walter
Luciana Scalacci, storica esponente del IV dialogo, di provenienza amiatina, attualmente residente a Prato, parlando con Morena Rosadoni e Walter Checcarelli, aveva espresso l’esigenza di approfondire l’Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”.
Da questo suo desiderio è nato un gruppo di persone, per la maggior parte di convinzioni non religiose, che si incontrano mensilmente, sulla piattaforma zoom, per commentare un capitolo dell’enciclica.
I partecipanti sono circa 25 e provengono dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Puglia, dalla Toscana.
L’Umbria è rappresentata da 7 persone, compreso Moreno Orazi di Spoleto, anche lui storico rappresentante del gruppo di persone che ha dato vita all’esperienza del IV dialogo.
Piuttosto che affidarci all’esperto, abbiamo preferito seguire il metodo di avvicinarsi all’enciclica attraverso il coinvolgimento di tutti, sia per rendere ognuno partecipe e responsabile, sia per evitare l’ascolto passivo ed essere tutti coinvolti in prima persona.
E’ un’esperienza che trova nel testo del Papa un terreno fecondo di confronto, essendo particolarmente adatto, per le tematiche che contiene, ad un dialogo produttivo e coinvolgente.
Possiamo sentirci a un tempo inadeguati (questa è la parola che sento per me -Walter- in questo momento) però avvertiamo con forza che come dice il Papa, all’inizio del terzo capitolo che: c’è in noi una specie di legge di estasi, uscire da noi stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere, e quindi sentirci chiamati a un compito.
E quindi con gioia obbediamo a questo impulso interiore.